martedì 27 novembre 2007

SICILIA E VENETO: UN UNICO PIANO REGIONALE CONTRO L’INQUINAMENTO ATMOSFERICO.

di Citto Leotta e Silvia Manderino - Liberacittadinanza Acireale e Venezia.

Evviva! Mai come oggi noi abitanti delle due regioni più distanti d’Italia siamo stati così vicini: i ‘siculo-veneti’.Un solo popolo, una sola etnia, identiche esigenze climatico-ambientali. Che beffa per Peppino Garibaldi, proprio nell’anno del suo bicentenario! Chi l’avrebbe detto che Totò vasa-vasa avrebbe completato l’opera, incompiuta secondo i più, iniziata dal Generale ? Unire gli italiani dopo l’Italia.
Eppure, scherzi a parte, qualcuno sa dirci cosa c’entra il Piano regionale di coordinamento per la tutela della qualità dell'aria della Sicilia con quello del Veneto?
Le due Regioni stanno nello stesso Stato. E fin qui, siamo tutti d’accordo.
E’ vero che qualche pezzo montano del Veneto – da Lamon a Cortina e tra poco a Sappada - corre a frotte alle urne referendarie per fare il proprio bagaglio e spostarsi in Trentino o in Friuli.
E’ vero anche che in Sicilia sembra vigano altri ordinamenti oltre a quello statale e c’è pure qualche burlone provocatore statunitense che rivendica nella regione il suo 51° Stato.
Ma che sino ad oggi, salvo cambiamenti dell’ultima ora, Veneto e Sicilia appartengano allo Stato italiano non c’è motivo di dubitarne.
Ma le emissioni atmosferiche delle due regioni sono identiche?
E il Piano per programmare e pianificare gli interventi di risanamento contro l’inquinamento atmosferico e per la tutela della qualità dell’aria è frutto della stessa mente?
Sembrerebbe di sì.
Solo che la cialtroneria ha avuto il sopravvento sulla furbizia truffaldina.
E il piano, quello vero, è stato scoperto.
Qualche giorno fa, quasi in sordina, passa la notizia che il Piano della Regione Sicilia, approvato lo scorso mese di agosto con decreto dell'assessore regionale per il territorio e per l’ambiente
Rossana Interlandi ed entrato in vigore il 14 settembre, somiglia un po’ troppo a quello della Regione Veneto, a suo tempo bocciato dall’Unione Europea perché non prevedeva tutte le emissioni atmosferiche nel territorio.
Ne è anzi una fedelissima fotocopia.
Vi si legge la parola “bacino aerologico padano”, si parla di Consiglio regionale, si sottolinea che la quota maggiore di inquinamento proviene dal riscaldamento domestico, a causa del “rigido clima dell’isola”, individua piste ciclabili inesistenti nell’isola. E via dicendo.
Qualcuno di Legambiente ha un sospetto, si collega al sito della Regione Veneto e, messi di fronte i due testi, si accorge che sono identici.
Copia e incolla è il nuovo sistema degli anni duemila all’insegna di internet.
Così succede che il Piano del Veneto – di per sé insufficiente secondo il giudizio della UE – venga trasferito alla bisogna per diventare il Piano della Sicilia.
Ma in Sicilia, obiettivamente, non c’è una fetta del territorio che possa chiamarsi “padana”; in Sicilia non esiste il Consiglio regionale ma l’Assemblea Regionale Siciliana; in Sicilia, fino a prova contraria, il “rigido clima” non ha ancora intaccato gli aranceti né ha fatto partire al massimo regime i termosifoni delle famiglie.
Ci chiediamo in che cosa sia consistito il lavoro di due dirigenti dell’ARPA regionale, tre dirigenti dell'assessorato e quattro docenti universitari per stendere un Piano che è stato trasferito di peso dal sito della Regione Veneto a quello della Regione Sicilia.
Avessero almeno eliminato qualche locuzione fuorviante, nessuno, forse, se ne sarebbe accorto.
Macché: con sommo sprezzo del pericolo informatico e informativo hanno persino indicato il link originale da cui hanno attinto:
(http://www.serviziregionali.org/prtra/files/33/prtra/PRTRA-04.htm).

Era appunto il sito della Regione Veneto.
Una sfida all’affidamento collettivo.
Alla cialtroneria non c’è mai fine.
Alla cialtroneria e alla sciatta provocazione.
Ma che dire della falsità in atto pubblico?
Perché è di questo che, in soldoni, pensiamo si tratti.
L’assessore regionale – messo allo scoperto - promette un’inchiesta interna.
Per stabilire cosa? Punizioni, riduzioni di stipendi, sanzioni economiche, sospensioni dall’esercizio delle funzioni?
E nel frattempo cosa dovrebbe limitarsi a dire la comunità siciliana, considerare che i propri rappresentanti istituzionali stavano per appiopparle un Piano falso e magari progettando sulle falsità studi strategici o interventi di un certo valore economico?
E chi ha avuto l’incarico istituzionale di trasfondere in un decreto quel Piano falso – cioè lo stesso assessore che promette inchieste interne – cosa dovrebbe fare nel frattempo?
Restare a scaldare la poltrona in attesa che la buriana si plachi e si dimentichi il fatto?
Perché un fatto c’è.
La notizia del fatto è stata trasmessa e si è diffusa nella stampa nazionale.
Si potrebbe fare un passo avanti e accertare delle responsabilità precise?
Cosa dice di tutto questo, per esempio, il presidente Cuffaro?
Perché è evidente che sulla questione, essendo il presidente della Giunta, ha voce in capitolo.
Stiamo parlando di responsabilità politiche e istituzionali, a pensare bene.
Ma visto che a pensar male qualche volta ci si azzecca, anche di possibili responsabilità penali.
Per quel Piano sono stati programmati o addirittura investiti denari pubblici?
Se sì, a quale titolo, visti i risultati?
E quel Piano, una volta divenuto decreto con tanto di pubblicazione sulla Gazzetta siciliana, a cosa dovrebbe servire?
A dire che i siciliani stiano tranquilli, il bacino aerologico padano della Sicilia non crea preoccupazioni o che le piste ciclabili non ci sono ma ci saranno?
Ma, soprattutto, che se bisogna prendersela con qualcuno per l’inquinamento dell’aria, facciano addirittura mea culpa gli stessi cittadini siciliani, che usano senza limiti e remore i termosifoni delle loro case a causa del clima rigido dell’isola mediterranea, mentre nulla da eccepire, per esempio, sull’inquinamento industriale delle fabbriche chimiche del triangolo Priolo-Melilli-Augusta?
Ci piacerebbe sapere se non possa ravvisarsi, nella circostanza, un comportamento non proprio in sintonia con le norme penali dello Stato italiano (queste sì, uguali per ogni regione) e che ne fossero individuati, con nomi e cognomi, i responsabili.
Ma anche ammesso (e niente affatto concesso) che nulla di penalmente rilevante possa nel caso configurarsi, chi risarcirà i siciliani per bene dell’ennesimo danno morale e d’immagine perpetrato ai loro danni? Non è forse questo uno sfregio alla Sicilia di gravità per certi versi pari alle ruberie e alla corruttela? Non era bastato il Governatore con la coppola che irride ai morti ammazzati per mafia o che invade i muri dell’Isola con i manifesti 6 x 3 ‘La mafia fa schifo’ per giunta a spese dei contribuenti?
Non è più accettabile che comportamenti fatti passare come istituzionali possano passare indenni, mentre tutto il danno che è loro conseguente debba essere scaricato sulla cittadinanza.
Ci piacerebbe avere una risposta.

Acireale-Venezia, 24 novembre 2007

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