martedì 27 novembre 2007

A che percentuale (ci) votiamo?

PERCENTUALI. Sono fondamentali, basilari, indicative.
Le percentuali offrono un panorama a volte confortante altre volte terribile; e a chi sa leggerle potrebbero rivelare strade sconosciute e importanti per giungere lì dove tutti ambiscono. La percentuale preferita del momento risponde alla cifra “30 per cento”. È lì attorno che ruota il Partito democratico, e lì attorno ci ruota pure (secondo le stime attuali, al di là delle profezie di Arcore) il neo nato progetto-prodotto di Berlusconi. Lì attorno, poi, vorrebbe arrivarci pure la fantomatica ‘Cosa bianca’ di Tabacci, che se An si convince è ‘Cosa fatta’. Poi, perché no, l’estrema sinistra vorrebbe avvicinarcisi pure, in una estrema alleanza, se è vero come è vero che a ‘Omnibus’ Rizzo ha dichiarato che “in Italia ci sono cinque milioni di comunisti” (che, però, restano nell’ombra). Solo che così si arriva a una percentuale metafisica, al 120 per cento, perciò per forza di cose qualcuno deve cedere. Non cederà certo il Pd, che in quanto a cose concrete ha mostrato di farcela. Sarà stata una farsa o meno l’elezione di Veltroni, ma ha mostrato di farcela. Silvio, poi, in qualche modo a quella percentuale ci arriva, puntando su prodotti tipo ‘Raiset’, Dell’Utri e Brambille varie. A vacillare saranno Fini, Casini, Bertinotti, Di Pietro e tutta la compagnia del gruppo misto. Se i primi due si stringeranno la mano in un patto di ferro, la percentuale per loro potrebbe avvicinarsi, ma sembra un’ipotesi ben lungi dalla realtà. Come lontano sembra l’obiettivo di tutti quelli a sinistra del Pd. A destra c’è Di Pietro, che anche se perde qualche punto nel gradimento è pur sempre in testa alle simpatie degli italiani (anche per l’occhiolino fatto a Grillo), ma a sinistra le acque sono mosse. Troppo. Vero che nessuno fa stime per evitare profezie nefaste, ma sono rimasti imballati. La maggioranza del governo appare così sempre più una ‘Cosa ingarbugliata’ dalla quale tutti provano a tirare fuori un braccio per organizzarsi diversamente, per essere più forti. C’è il caso emblematico dei cosiddetti ‘diniani’, i Liberaldemocratici di Lamberto Dini. Lamberto è uno che di salti ne ha fatti, ricordando sempre che è figlio di un fruttivendolo e che è entrato nella Banca d’Italia dalla porta principale. È stato con Berlusconi, poi è passato con Prodi nell’Ulivo, ha fondato una lista col suo nome tirandosi dentro socialisti e Segni; è stato nella Margherita, ha appoggiato il Pd durante la gestazione e poi, ultimo atto, si è tirato fuori da tutto, ricreando la sua Lista Dini, ma coniando per l’occasione il nuovo (si fa per dire) nome ‘Liberaldemocratici’ (che fa sempre chiamo), dichiarandosi partito politico di ispirazione centrista e liberale e precisando che loro sono sì nel Governo, ma da “indipendenti”. Un po’ come Storace, che dice che lui sta sì con Berlusconi, ma non “confluisce”. C’è sempre qualcosa da salvaguardare, quindi le cose a metà vanno sempre bene. Solo che così l’unica cosa che risulta evidente è che tutti mirano alla conservazione e alla crescita personale. Solo personale. Se uno come Storace accetta pure di farsi dire “moderato” e di guardare al Ppe sorridendo, allora è così. Se uno come Giovanardi dichiara che “Silvio Berlusconi ha dato vita a due straordinarie novità, ossia lo scioglimento della sua creatura e il passaggio dalla monarchia alla repubblica, certificata dalla più volte ripetuta affermazione che il capo del nuovo partito lo decideranno votando gli iscritti” (voltando perciò improvvisamente le spalle a Casini e a tutti i bei discorsi del “figliol prodigo” rinsavito e mai più “figliuol”), allora è così (anche se fisicamente Giovanardi non può offrirsi a Silvio come novello Casini…). Si potrebbe ‘obbiettare’ dicendo che questa è una cosa scontata, ma per quanto scontata sia non è eterna. Almeno: non con queste facce, sempre le stesse. “La Casta” e il “V-Day” sono un campanello d’allarme che i signori politici non possono ignorare. Dini che auspica “il superamento del Governo Prodi” è inquadrabile come uno dei segnali che potrebbe annunciare la rottura del giocattolo: pare quasi che Berlusconi abbia inviato un assistente nel cervello di Dini (come Debora Bergamini ‘mandata’ in Rai), che quindi si comporta automaticamente come Tremonti, azzerando quel conflitto di parte che fino a un anno e mezzo fa pareva in qualche modo sussistere. E adesso? Aspettiamo le intercettazioni…

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